Da
settimane infuria - a partire dalle prime pagine dei giornali - il tema
del Pd, del suo congresso e delle regole. Esattamente come l'anno
scorso prima delle modifiche allo statuto, della competizione con
Bersani ecc ecc.
La metto giù facile ma sincera.
Epifani
sta facendo un ottimo lavoro. Guida con pazienza la barca, dimostra una
tenacia
tutta sindacale, sa come tutti noi che è difficile mostrare entusiasmo
ideologico ad un governo di larga coalizione (non siamo ancora tutti
tedeschi) ma sa perché è come siamo arrivati fin qui. E dato che non
stiamo giocando a boccette, sa pure che il governo
non ha alternative e sta pure guadagnando consenso in molti ambienti.
Letta
è un eccellente uomo di governo. Si scherzi pure a lungo sul cognome e
quant'altro
fornisce l'ironia estiva, ma è difficile non notare la straordinaria
capacità con cui calca la scena, incontra i leader internazionali,
ottiene risultati in Europa. Chi non li vuole vedere dimostra proprio un
atteggiamento pregiudiziale.
Poi
c'è Renzi. Dico con estrema franchezza che nessuno è in grado di
offrire a Matteo
ciò che egli non sia capace di prendersi da solo. Ha dalla sua parte
l'età, il talento e una forza comunicativa straripante che gli ha
procurato un consenso perfino imbarazzante da parte dei corsivisti e dei
pensosi commentatori italiani, in genere assai stitici
in materia di complimenti. Potrei fermarmi qui ma vado oltre perché la
barca del Pd è anche la mia.
Matteo
sta pensando se candidarsi o meno alla guida del Pd. Se lo facesse
risolverebbe
un dubbio locale (non ricandidarsi a Firenze nel 2014) ma ne aprirebbe
uno nazionale legato concretamente alla dinamica che è accaduta in
Italia da quando il Pd esiste.
Nel
2007, la leggenda sostiene oramai che Veltroni segretario (e candidato
premier)
accelerò la caduta di Romano Prodi assai più delle interviste di
Bertinotti, delle indagini su casa Mastella, della corruzione contante
di gentiluomini alla De Gregorio. Si sostiene cioè che un
segretario/candidato premier risolve un'anomalia italiana ma mette
la fregola addosso al candidato accorciando la vita del governo in
carica. E se il governo lo guida uno dei tuoi, questo è ovviamente un
problema.
Nel
2009, Bersani si candidò con la medesima regola, ma a Palazzo Chigi
sedeva Berlusconi,
assai poco incline a sloggiare in virtù del risultato delle primarie
del Pd. Bersani conosceva l'automatismo segretario/candidato premier ma
non lo forzò alla caduta di Berlusconi due anni dopo, preferendo prima
sostenere il governo tecnico di Monti invece
che andare a elezioni anticipate e poi dando la disponibilità a
rimettere in gioco il suo ruolo davanti alla sfida di Renzi non dando
per scontato alcun automatismo. Vinse le primarie, non vinse le
elezioni. La coincidenza delle due funzioni lo spinse a dimettersi
anche dalla funzione di segretario.
Ed oggi eccoci qui, con un sistema politico tripolare (non più bipolare) e con una forma
partito da reinventare dopo la fine del finanziamento pubblico.
Serve
un segretario a tempo pieno per sostenere il governo Letta in questi
due anni,
per gestire il semestre europeo, per fare le riforme costituzionali,
per gestire il cambio di sistema e di partito ? La mia risposta è si.
Il segretario del Pd può essere automaticamente il candidato premier di uno schieramento
più ampio, senza nuove primarie di coalizione ? La mia risposta è no. Fra 18 mesi serviranno comunque nuove primarie.
Se anche esistesse un automatismo, cosa dimostra l'esperienza Bersani ? Che una nuova
primaria allarga il consenso, legittima una scelta, può essere una partenza per una futura campagna elettorale.
Si può essere candidati segretario e poi correre anche da premier ? Ovviamente sì.
Si può non essere segretario e poi candidarsi premier ? Ancora ovviamente sì.
Può
essere invece che il ruolo di segretario - senza dovere e volere subito
mettere in mora il proprio premier accelerando la fine di una
legislatura senza riforme - si tradurrebbe in un ruolo più costretto,
più angusto, da carabiniere della stabilità invece che
da mago dell'invenzione politica ? Penso di sì.
Può
essere che questo ruolo stia stretto a Matteo e che da lì nasca il
dubbio se correre
o no, se essere un attore della fine anticipata di una legislatura
senza riforme, se essere colui che stacca una spina che nemmeno
Berlusconi staccherà in caso di conferma della condanna ? Penso ancora
di sì.
Questo - a me pare - sia il vero, legittimo dubbio di un candidato, Matteo, che vincerà
qualsiasi competizione voglia oggi tentare.
Se
questo è vero, come penso, tutto il resto - ed è tanta roba - è panna
mediatica cucinata
da cuochi pasticcioni. I dibattiti sui social network, gli strilli sui
presunti golpe, la contrapposizione quotidiana fra teoremi elaborata
dai due principali giornali. Tutta cattiva politica, per me.
Matteo è più che una risorsa. Piaccia o non piaccia, è il fidanzato d'Italia. Non sappiamo
se poi metterà le corna al Pd o al Paese, se alla forma seguirà la sostanza, ma la sua ascesa sembra oggi irresistibile.
Il
dubbio che lo assilla è un dubbio serio. Cosa farsene di un partito. In
quale relazione
metterlo con questo governo. Come far combaciare le larghe intese (che
non piacciono) con le sue frequentazioni trasversali (che piacciono).
Come coinvolgere e reclutare esperienze e capacità che gli serviranno
per governare il Paese senza farsi intrappolare
dalla retorica della rottamazione. Come tenere in tiro le molte
fidanzate che ha rinviando di due anni la data del matrimonio. Come
fidarsi di un segretario "altro" da lui che non lo costringa poi a una
nuova telenovela sulla data e sulle regole di primarie
di coalizione al tempo dovuto.
Non so se i dichiaranti a getto continuo, i battutisti del Pd, quelli che Letta ha chiamato
i "fighetti" hanno chiaro lo scenario o fingono di non averlo capito. Io credo che Matteo lo abbia invece molto chiaro.
Spero
che nelle poche vacanze di questa estate si chiarisca le idee e poi
proceda. Liberandosi
in un senso e nell'altro di una cortina fumogena di chiacchiere, che
non fa altrimenti vedere la vera natura della posta in gioco.
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